Cari anarchici e care anarchiche, libertari e libertarie, sono mesi che sulle pagine di Umanità Nova scrivo righe riguardanti la lotta per la liberazione animale, ma nonostante i ripetuti articoli – non solo miei a dire il vero (fortunatamente) – nessuna risposta a controbattere, nessuna argomentazione che cerchi di smontare le tesi antispeciste dalla radice. Questo denota due aspetti, non necessariamente l’uno esclude l’altro: da un lato, probabilmente, non si hanno argomentazioni valide per continuare a sostenere le idee di libertà di cui si è portatori senza metterle in discussione qualora si pensi allo sfruttamento animale e, dunque, senza porsi dalla parte del potere; dall’altro, ci può essere un forte disinteresse alla questione, ovvero a sostenere il dibattito, continuando così imperterriti a celare il potere esercitato sugli altri animali e a considerarla una gerarchia tutto sommato poco importante. Scusate la superbia: credo sia un misto di entrambe.
Nonostante questo silenzio, voglio ora parlarvi della liberazione animale non come una lotta specifica contro lo specismo, ma come la lotta di classe in cui tutti dovremmo essere impegnati.
Porsi dalla parte degli sfruttati, non può escludere una parte degli stessi sfruttati. A noi libertari/e piace infatti combattere il potere oppressivo in quanto tale, e non in base alle vittime su cui questo potere viene esercitato e/o in base ai detentori del potere stesso. Il potere infatti, se non è di tutti, indistintamente dall’appartenenza di ognuno, è pura gerarchia e divide la società in sfruttatori e sfruttati. Il potere decisionale, se non si allarga a tutti, diventa potere oppressivo. Così, lo specismo, oggettivamente, si pone dalla parte del potere oppressivo e contribuisce a costruirlo, tanto quanto il razzismo, il sessismo e il classismo contribuiscono a costruire il potere degli umani su altri umani. Il fatto è che tutte queste gerarchie appartengono ad un’unica gerarchia dominatrice figlia della stessa mentalità: le gestione del potere nelle mani di pochi.
Bisognerebbe quindi iniziare a parlare di abbattere il dominio e di gerarchia in quanto teorie e pratiche, e non in definizione delle loro vittime: nel primo caso, ogni anarchico e anarchica dovrebbe necessariamente includere l’antispecismo nella sua lotta, nel secondo caso, ossia in riferimento esclusivamente alle vittime di particolari gerarchie, non solo da una parte si combatterebbe una lotta incompleta, seppur profondamente giusta, ma dall’altra quella stessa lotta continuerebbe a rafforzare l’idea che la gerarchia potrebbe essere anche giusta, basta semplicemente cambiare le masse sfruttate.
Non è quantomeno paradossale lottare per l’eliminazione delle frontiere, continuando però a sostenere quel sistema che ne crea altre attraverso la costruzione di allevamenti e mattatoi? Non è quantomeno paradossale appoggiare la lotta femminista, contribuendo però a sostenere quel sistema che imprigiona altre masse femminili per produrre latte e uova? Non sarebbe quantomeno paradossale lottare per l’eliminazione delle frontiere solo a vantaggio dei “migranti” sub-sahariani e non, ad esempio, per gli asiatici? Non sarebbe quantomeno paradossale appoggiare la lotta femminista, solo però per quelle donne etero e in grado di procreare? Il fatto è che nei primi due casi, quello che sarebbe paradossale è realtà; anzi, spesso per finanziare le prime lotte si utilizzano proprio i corpi degli animali non umani. Allora diciamolo chiaramente, ciò che giustifica la gerarchia è l’appartenenza: ciò che esclude gli animali non umani dalla lotta di classe (specista) dunque, è semplicemente la diversa appartenenza di specie (termine e concetto che contesto). Ma una domanda sorge spontanea: non sarebbe paradossale definirsi antirazzisti, antisessisti e anticlassisti senza mettere in discussione lo specismo, posto che specismo, razzismo, sessismo e classismo si fondano sulla stessa base ideale, ovvero la discriminazione e lo sfruttamento di chi non è identico a me?
L’intersezionalità della lotta, ovvero ciò che dovrebbe unire tutti i movimenti di contestazione del sistema di sfruttamento, se vuole davvero considerarsi tale, non può escludere dal suo coinvolgimento gli sfruttati animali non umani che, seppur diversi dall’animale umano, restano sfruttati al pari degli umani. Bisognerebbe dunque comprendere che la lotta di classe è tale quando coinvolge tutti gli sfruttati, e non solo una parte di essi, a meno che non si voglia sostituire una classe di dominio con un’altra.
Gli animali non umani pertanto, rappresentano parte della lotta di classe, e l’antispecismo (o meglio il veganarchismo), in tal senso, lotta per l’eliminazione di tutte le gerarchie.
Non riconoscere gli animali non umani come sfruttati al pari degli sfruttati umani, significa continuare a produrre quel sistema per cui la lotta di liberazione umana si batterebbe: un sistema altamente gerarchizzato e dominatore, a cui inevitabilmente conseguirà la soccombenza di milioni di sfruttati. L’animale non umano infatti, non è semplicemente vittima dell’umano – sarebbe estremamente riduttivo concepire il loro sfruttamento attraverso questa accezione – ma piuttosto è vittima di un sistema a vantaggio del potere borghese e capitalistico, benché a vantaggio umano. Il capitalismo infatti, depreda le ricchezze e sfrutta i popoli non banalmente in base alla diversa appartenenza, ma in quanto esso stesso è un sistema che per vivere e rigenerarsi necessita della costruzione della gerarchia e, dunque, necessita di sfruttare anche i suoi simili. Così, fagocitando ogni istanza sociale, il capitalismo crea gerarchie e domina ogni aspetto del vivere sociale; in questo senso, gli sfruttati devono essere considerati come tali, e non classificati in base alla loro appartenenza: come sarebbe deleterio non trovare nello sfruttato umano proveniente da qualsiasi parte del mondo il soggetto con cui costruire la lotta di classe, ugualmente porre frontiere di specie tra sfruttati dallo stesso sistema, significa non costruire una concreta lotta di classe.
In conclusione, la necessità della costruzione di una lotta di classe interspecifica, non può non essere inclusa nell’analisi dello sfruttamento e delle resistenze quotidiane: la lotta di classe è la lotta contro lo sfruttamento, non contro i propri simili.
Nicholas Tomeo